Crittografia Mnemonica.

Memorie cifrate

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Il teologo e l’idiota.

Questo è un altro piccolo racconto zen, così come lo ha raccontato Alejandro Jodorowsky nel suo libro “Il dito e la luna” (Mondadori):

Un Monaco zen viveva con suo fratello, cieco d’un occhio e idiota. Un giorno proprio quando un famoso teologo era venuto da lontano per parlargli egli era stato costretto ad assentarsi. Disse allora a suo fratello:

“Ricevi e tratta bene questo erudito! Soprattutto non aprire bocca e tutto andrà bene!”

Il Monaco abbandonò il Monastero. Al suo ritorno, andò di corsa dal suo ospite:

“ Ti ha ricevuto bene mio fratello?”gli chiese.

Pieno di entusiasmo ,il teologo esclamò:

“Tuo fratello è una persona notevole. E’ un grande teologo.”

Il Monaco sorpreso farfugliò:”Come?… Mio fratello ,un teologo?

“Abbiamo avuto una conversazione appassionante,”continuò l’erudito “esprimendoci solo a gesti. Io gli ho mostrato un dito,lui ha replicato mostrandomene due. Allora gli ho risposto, logicamente ,mostrandogli tre dita, e lui mi ha lasciato sbigottito mostrandomi un pugno chiuso che metteva fine al dibattito..Con un dito, io gli ho indicato l’unità di Buddha. Con due dita, lui ha allargato il mio punto di vista ricordandomi che Buddha era inseparabile dalla sua dottrina. Soddisfatto della replica, con tre dita, gli ho dato a intendere: Buddha e la sua dottrina nel mondo. E allora lui mi ha dato una risposta sublime mostrandomi il pugno: Buddha, la sua dottrina, il mondo, formano un tutto. Questo vuol dire davvero superare se stessi”. Poco dopo il monaco andò da suo fratello:

“Raccontami com’è andata con il teologo!”

“E’ semplice” disse il fratello “Lui mi ha provocato mostrandomi un dito per farmi notare che io avevo un occhio solo. Non volendo  cedere alla provocazione, ho risposto  che lui era fortunato ad averne due. Lui ha insistito sarcastico:”Comunque sommando  quelli di entrambi , fanno tre occhi”. E’ stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Mostrandogli il pugno chiuso l’ho minacciato di stenderlo all’istante se non la smetteva con le sue malevole insinuazioni.”

My Christmas books.

Il Natale per me è sempre stato, fin da piccolo, il momento più bello per farsi regalare (e in ogni caso leggere) libri. Eccone una selezione:

1985: Il buio oltre la siepe, di Harper Lee. Scoperto tramite un brano sull’antologia scolastica.

1986: Momo, di Michael Ende. Mi presi la febbre quasi subito e ne approfittai per leggerlo col Vicks e il termometro sul comodino.

1988: Il pendolo di Foucault, di Umberto Eco. Non ci capii un tubo allora, lo apprezzai undici anni dopo.

1989: Il canto di Natale, di Charles Dickens. Un classico.

1990: Il fantasma dell’Opera, di Gaston Leroux. Imperfetto, ma affascinante.

1992: La compagnia dei Celestini, di Stefano Benni. Uno dei capolavori di un grande autore, che dopo l’involuzione degli anni Duemila si è dato alle letture in pubblico e al grillismo (opinione personale, of course!).

1994: L’ultima lacrima, di Stefano Benni. Come sopra.

1997: La bussola d’oro, di Philip Pullman. Primo capitolo di una fascinosa trilogia fantasy sui generis.

…poi i libri ho cominciato a comprarli praticamente ogni settimana, ma alcuni sono rimasti legati al Natale in cui li ho letti:

2000: Se una notte d’inverno un viaggiatore, di Italo Calvino. Avventure da librofilo.

2002: La notte dei desideri, di Michael Ende. Classica favola di fine anno.

2005: Petrolio, di Pier Paolo Pasolini. Grande incompiuta.

2010: Il cimitero di Praga, di Umberto Eco. Invernale e notturno.

2012: Ubik, di Philip Dick. Sorprendente.

Ora scusate, vado a leggere.

leggere

L’angolo della poesia (rubata) #4.

Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
“follia”.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
“malinconia”.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
“nostalgìa”.
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.

(Aldo Palazzeschi)

La bellezza dei tempi morti.

Quando ero un pendolare fisso (ossimoro?) praticamente vivevo di tempi morti (altro ossimoro?). I viaggi in treno, strapieno la mattina, più quieto nel pomeriggio, di nuovo stracolmo la sera, erano a modo loro un piccolo mondo di quotidiani freschi di stampa, inviti a un caffè o a pranzo insieme, scambi di opinioni su un libro o su un disco, o anche riflessioni solitarie (in altri termini, “seghe mentali”) con la fronte appoggiata a un finestrino bagnato di pioggia. Molte amicizie mi sono state scandite dagli orari ferroviari: “Non prendi più il 7.17?” “No, però se vuoi salto un treno e torno col 17.10, così ci vediamo”. Ma un altro luogo di tempi morti erano le librerie, quelle del centro di Milano dove si può girare per ore, al riparo dalla pioggia, dalla nebbia e dalla malinconia. Quante volte è capitato di arrivare tardi a lezione o al treno per la voglia insopprimibile di un giro tra i libri. E il bar di Porta Genova, dove scesi dal treno si rubavano cinque minuti per un caffè e una brioche e si leggevano in compagnia quegli assurdi quotidiani gratuiti ridendosela delle notizie più improbabili. E i cinque minuti diventavano mezz’ora…

Non ho un bel ricordo dei miei anni da pendolare. Ma per quei momenti faccio un’eccezione.

L’angolo della poesia (rubata) #3.

Il vecchio artigiano sorrise
quando gli chiesi di soffiare una bottiglia
per tenervi dentro le tue lacrime.
E sorrideva e canticchiava a tempo con le mani
nel modellare il vetro delicato
e lo macchiava del colore purpureo
di un errabondo cielo serotino.

Ma la bottiglia si è persa in qualche angolo di casa.
Come potevo sapere che non eri capace di piangere?

(Leonard Cohen, dalla raccolta di poesie “Let us compare mythologies”)

L’angolo della poesia (rubata) n.2.

Il primo sguardo dalla finestra al mattino
il vecchio libro ritrovato
volti entusiasti
neve, il mutare delle stagioni
il giornale
il cane
la dialettica
fare la doccia, nuotare
musica antica
scarpe comode
capire
musica moderna
scrivere, piantare
viaggiare
cantare
essere gentili.
(Bertolt Brecht, “Piaceri”)

L’angolo della poesia (rubata).

“C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
E’ tutto in ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
E’ lesto a indovinare il chi il come il dove e a quale scopo.
Appone il timbro a verità assolute,
getta i fatti superflui nel tritadocumenti,
e le persone ignote dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve,
non un attimo in più,
perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio
– per fortuna mi passa.”
da “Basta Così” di Wisława Szymborska

“I giusti”.

Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere una etimologia.
Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.

(Jorge Luis Borges)

Due spari e un piccolo libro.

“[…] Perciò, se come oggi la guerra proclamata in mio nome sarà una guerra contro i poveri, gli immigrati, gli emarginati, i nomadi, i dissenzienti, mi rifiuterò di usare le armi che gli alti comandi forniscono alla truppa: luoghi comuni, battute razziste, catene di notizie incontrollate, voci calunniose che si diffondono come epidemie e rinfocolano l’odio.”

Questo brano è tratto da un piccolo libro di un autore esordiente, timidamente apparso nelle librerie poche settimane fa. Perchè le cose siano chiare, dirò subito che l’autore esordiente è mio amico da trent’anni, quindi nemmeno mi sforzo di essere obbiettivo sul suo lavoro: mi limito a dire che mi è piaciuto. Questo brano mi ha ronzato in testa tutto il giorno sentendo come molte persone, anche a me molto care, hanno parlato di questa notizia: e cioè, puntualmente, attraverso luoghi comuni e tutto il resto.

Il gioco degli incipit.

Ringrazio l’Ironica per aver proposto questo gioco, che NON mi trattengo dal giocare. Consiste nel condividere tramite blog i cinque incipit dei libri che mi sono piaciuti di più. Ecco qua:

  • “Quando il signor Bilbo Baggins, di casa Baggins, annunziò che presto avrebbe festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione”. (J.R.R. Tolkien, “Il signore degli anelli”, saga epica se mai ve ne furono)
  • “Il terrore che sarebbe durato per ventotto anni, ma forse di più, ebbe inizio, per quel che mi è dato di sapere e di narrare, con una barchetta di carta di giornale che scendeva lungo un marciapiede in un rivolo gonfio di pioggia”. (S. King, “It”, l’infanzia colta splendidamente sull’orlo della sua trasformazione in adolescenza)
  • “Jem, mio fratello, aveva quasi tredici anni all’epoca in cui si ruppe malamente il gomito sinistro”. (H. Lee, “Il buio oltre la siepe”, semplicemente stupendo e struggente)
  • “La siccità si protraeva ormai da dieci milioni di anni, e il regno delle terribili lucertole era finito da molto tempo”. (A. C. Clarke, “2001: odissea nello spazio”, l’epopea dell’uomo ieri, oggi e -forse- domani)
  • “Al Bar Sport non si mangia quasi mai”. (S. Benni, “Bar Sport”, per ridere un po’)

Qualcuno vuol partecipare?