Crittografia Mnemonica.

Memorie cifrate

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Matrimoni all’italiana.

Voglio scrivere un post sul matrimonio.

Premetto che non ho nulla, assolutamente nulla, contro il matrimonio: se ci credete, sposatevi pure davanti a un prete, un rabbino, un imam, un sindaco o un ceffo di Las Vegas. Quello che però assolutamente non capisco e non mi piace è la retorica dei matrimoni. In altre parole, perchè mettere in moto una baracca faraonica che ci metterà un anno e mezzo ad arrivare a compimento e costerà fior di soldi a voi e ai vostri invitati?
Pensiamoci bene: che senso hanno le seguenti cose? Eppure le fanno tutti:

le prove abito-trucco-e-parrucco,

le discussioni infinite sulla scelta del ristorante e del menù,

la rigorosa programmazione dei posti a tavola,

il coinvolgimento di incolpevoli amici nella scrittura a mano delle partecipazioni,

i cartoncini con la foto e il nome degli sposi da appendere ai semafori,

gli striscioni appesi ai cavalcavia (con scritte a volte battute spiritose quanto un editoriale di Rodotà su Repubblica, a volte citazioni di Gigi D’alessio),

il reclutamento di altri incolpevoli amici che suonino in chiesa uno strumentale di Gigi D’alessio,

il lancio di tanto riso da sfamare ogni volta tre villaggi dell’India,

le fotografie in pose che si vorrebbero evocative e sono sempre uguali,

il corteo di macchine a clacson spiegato con fiocchi color pastello sulle antenne delle autoradio (che suonano a tutto volume Gigi D’alessio),

il pranzo (in agriturismo a non meno di cinquanta Km da fare in macchina, in giacca e cravatta nel caldo di giugno) in cui tra una portata e l’altra passano due ore,

un tizio in un angolo che, con l’unica dotazione di un portatile e una tastiera Chicco, stona il repertorio di Gigi D’alessio,

gli invitati già ubriachi al secondo piatto che vanno dal tizio e dedicano agli sposi le canzoni di Gigi D’alessio,

la torta nuziale a più piani, presagio forse del condominio da cento appartamenti in cui gli sposi andranno a vivere,

le bomboniere kitsch, di cui ogni casa ha diversi esemplari nel cassetto più riposto, ricordi di altrettanti matrimoni di amici e che nessuno però ha il coraggio di esporre nella vetrinetta in salotto.

Ecco, il post l’ho scritto. Spero che nessuno si offenda. Nemmeno Gigi D’alessio.
inbiancointerno

Fenomenologia del rompiballe.

I rompiballe (rb) infestano la nostra vita. E tutti sappiamo di chi sto parlando: il collega che in straordinaria concomitanza con le vostre ferie vi chiede un cambio turno, il compagno di università che vi ammorba le lezioni e il caffè alla macchinetta scroccandovi gli appunti, eccetera.

Ma il rompiballe peggiore è senz’ombra di dubbio quello di famiglia: il parente che si attacca al citofono o al telefono per chiedervi favori improbabili. E’ decisamente pernicioso, perchè colpisce nell’intimità del focolare domestico, quando riteniamo che la nostra vita famigliare ci protegga dalle seccature e quindi abbiamo le difese abbassate. Funziona così: dopo una giornata di duro lavoro, arriviamo a casa, salutiamo chi vive con noi (moglie, fidanzata, mamma), cambiamo le scarpe con le pantofole e ci accingiamo al meritato riposo. Nel momento di massima rilassatezza, proprio quando pregustiamo i tortellini in brodo che stanno già in cottura driiiiin! Il telefono. E sentiamo già avvicinarsi la catastrofe. Il rb parentale ci notifica:

“Ciao, sono la zia. Tuo cugino torna tra un’ora dalle vacanze, puoi andarlo a prendere all’aeroporto che noi abbiamo la macchina dal meccanico?”

“Ciao, sono Ernesto. Tu che sei pratico, potresti fare un salto in farmacia a prendere le pastiglie per il mio cane che ha un po’ di imbarazzo intestinale?”

“Ciao, sono Luisella. Non è che puoi venire a vedere il bancomat della nonna che non riesce a prelevare la pensione?”

E via così. A nulla serve protestare con i nostri famigliari (specialmente con le nostre famigliari), che ci costringeranno a prendere la macchina in  una sera di pioggia e catapultarci a Malpensa a far da facchino al maledetto cugino, o a lasciare i tortellini a metà per cercare il primo pronto soccorso veterinario utile per evitare che Ernesto muoia asfissiato dai gas del suo cane lupo, o a prestare aiuto informatico/bancario alla nonna che altrimenti proprio non saprebbe come donare venti euro al santuario di Padre Pio. Svolgeremo l’incarico snocciolando nell’intimo una tale serie di bestemmie da meritarci la dannazione eterna, se non fosse che gli Dei hanno anche loro dei parenti e quindi ci possono capire.

Come difenderci?

Sconsigliabile l’eliminazione fisica: una strage di parenti può provocare spiacevoli effetti collaterali quale il carcere a vita o, il che è molto più grave, diventare un ospite fisso di Pomeriggio 5 o La vita in diretta.

Come abbiamo visto, quando il parente rb ci piomba in casa non avremo già più scampo. Si può prevenire l’assalto del rb con un atteggiamento distaccato, ai limiti del misantropico (anzi, un po’ oltre), in modo che la confidenza non si insinui tra noi e lui a sgretolare pazientemente le nostre difese come un rivolo che corrode le  fondamenta di una diga. Limitarsi a una blanda cortesia. Trincerarsi dietro frasi di circostanza.

E magari sperare che l’INPS istituisca una pensione di invalidità ad hoc. Di questi tempi è difficile, ma non si sa mai.

Fenomenologia delle carampane.

Chi mi conosce sa quanto mi piace, di tanto in tanto, passare una serata in coppia a teatro. Si tratta secondo me di un modo di passare una serata diversa, a vedere cose che altrimenti non si conoscerebbero e in un contesto “mondano” un po’ d’altri tempi, tra gente tranquilla e beneducat…

ALT, FERMI TUTTI!

Mi corre l’obbligo di segnalare a tutti coloro che non siano mai andati a teatro una piaga sociale che infesta le altrimenti frequentabilissime platee dei teatri italiani. Credetemi, se pensate di trovarvi in compagnia solo di tranquille coppie senza prole e mansuete comitive dopolavoristiche, o al massimo di qualche scolaresca un po’ sovreccitata, sappiate che andando a teatro correte il gravissimo pericolo di imbattervi in un temibile branco di carampane!

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(prego di immaginare in sottofondo la sigla di SuperQuark)

Non sono innocue, nemmeno all’apparenza. Solitamente si tratta di signore attempate, senza mariti in quanto, secondo i casi: a) sono vedove; b) sono separate; c) sono signorine e hanno il ragazzo (che solitamente gira sulla settantina, come loro del resto, e che si guarda bene dal seguirle); d) al marito è severamente proibito partecipare alla serata  tra donne (manco andassero a vedere uno spogliarello maschile); e) il marito, comprensibilmente, si vergogna di uscire con la moglie e le sue scriteriate amiche.

Infatti, la prima cosa che fanno le c. è arrivare al teatro in gruppo, caratterizzate da trucco pesantissimo (che anzichè ringiovanirle, mostra impietosamente ogni singolo anno) e abbigliamento che farebbe vergognare anche Enzo Miccio: attillatissime magliette leopardate, possibilmente con schiena scoperta anche se è gennaio, voluminosa pelliccia finta, scarpe con tacchi che metterebbero in difficoltà anche un trampoliere del circo Orfei. Arrivate nel foyer, iniziano a cercare i biglietti nelle borsette e vanno nel panico. Iniziano poi i commenti sul protagonista dello spettacolo, spesso un loro coetaneo che loro idolatrano perchè è un bell’uomo. Al momento di prendere posto, entrano quando gli altri spettatori sono già seduti comodamente. Le c. li fanno spostare tutti perchè hanno preso i posti più centrali per vedere meglio l’oggetto delle loro brame. Si siedono goffamente, continuando a commentare. Se sono, come dire, voluminose, non lesinano sgarrettate ai malcapitati vicini. Le più snelle, per non essere da meno, allargano i gomiti sui braccioli della poltrona.

Calano le luci: inizia lo spettacolo e si fa silenzio tra la gente, ma non tra le c., che anzi insistono a commentare bisbigliando. Il problema è che, quando bisbigliano, le c. sono più rumorose di quando parlano. Si tratta di un fenomeno attualmente allo studio della scienza otorinolaringoiatrica.

Per tutto lo spettacolo le c. bisbigliano tra loro, incuranti degli stizziti “SHHH!!!” dei malcapitati vicini. Al termine, quando gli attori escono sul proscenio per raccogliere i meritati applausi, ecco un altro fenomeno tipico delle c.: la compagnia potrebbe contare anche trenta tra attori e comparse, ma loro si alzeranno in piedi (urtando tutti) e strilleranno istericamente BRAAAVOOOOOO!!!! UUUUUUH!!!!! solo al loro attore preferito. Non lasceranno il teatro se lui, e solo lui, non avrà fatto un cenno di saluto al loro indirizzo, a cui loro avranno risposto con ulteriori gridolini isterici da ragazzine davanti a Corona.

Poi escono dal teatro per andare a mangiarsi una pizza che, data l’ora e l’assenza di maglia di lana, non digeriranno.

Come una cosa posata in un angolo e dimenticata (*).

Di solito sono tranquillo.

Oggi sono molto, molto nervoso. Basta un niente a farmi partire, ed è successo molto più che un niente. Ho la sensazione di essere un corpo estraneo, di dar fastidio a tutti. Di essere prescindibile anche per le persone a me più care. Che il mio parere sia lecito, ma non vincolante: di quel che penso io, tutti fanno l’esatto contrario. Non senza avermi dato ragione. Che a me non sia consentito essere sereno. Che sono arrivato fin qua, tra mille sbattimenti, per non godermi una vita di merda. Anche questo bel pomeriggio di sole invernale sembra irridermi.

Perfino ascoltare musica, un tempo il mio passatempo prediletto, ora mi sembra un’attività insipida. E quanto a leggere, non ho la serenità necessaria nemmeno a leggere un titolo, figuriamoci un libro intero.

Passo la vita ad aspettare e sperare.

Amico mio, il conte non ci ha lasciato scritto che l’umana saggezza è rinchiusa in queste parole? Aspettare e sperare. Forse, ma io non sono così saggio.

Se lo fossi, non sentirei un sapore tanto amaro.

(*) G.Ungaretti, Natale

 

L’avocado del diavolo.

Devo fare una premessa di cui mi vergogno: non mi è mai piaciuta granchè la frutta, nè la verdura. Fin dal giorno in cui, ancor ebbro di latte materno, mi vidi propinare dai miei genitori, al grido di è buonissima e fa tanto bene, un’orribile poltiglia maleodorante color verde scuro ottenuta giustiziando bieta o spinaci, le cui foglie ancora si sarebbero potute intravedere osservando con attenzione. Da allora ho sempre diffidato: 1) delle verdure; 2) di mia mamma quando accompagnava una pietanza con la frase sentirai che bontà!

Ma non sono questi i traumi infantili che ci si possono portar dietro una vita, suvvia, e poi, il dovere verso se stessi di un’alimentazione corretta… Inoltre, un mio amico (che si dichiara) vegetariano mi ha convinto a suon di chiacchiere che l’avocado è un frutto delizioso, che si mangia in mille modi, ha una polpa delicatissima ecc. Così, l’altro giorno, al supermercato compro ‘sto benedetto avocado, che tra l’altro insieme a mango e papaya mi ricorda l’ormai datatissimo personaggio del “bocconiano” di Drive-in che pasteggiava solo con questi frutti esotici, tirandosela un casino.

Insomma, porto a casa l’avocado, lo colloco sul tagliere, affondo sadicamente il coltello nella delicata polpa e…

O D D I O,  E’  M O L L I C C I A!!!

Superando il disgusto, ne taglio un pezzetto, lo assaggio con cautela e…

bleah

ARGH! SPLUT! KOFF!

Se pure avrò maggior considerazione per la frutta (mio proposito per il 2013), non comincerà da qui.

Magari una mela al giorno, che mi levi l’avocado di torno.

Desiderio per l’anno nuovo.

Siamo sempre qui a sperare che l’anno vecchio si porti via le cose brutte e per quello nuovo rimanga solo il bello. Purtroppo ogni anno è sempre la stessa storia.

Allora, visto che a spararla grossa non si ottiene niente, vediamo se la politica dei piccoli passi funziona un po’ di più. Se potessi realizzare un desiderio per l’anno nuovo, non sarebbe la scomparsa di guerre, fame nel mondo, povertà e odio di ogni genere. Mi accontenterei di veder sparire la maleducazione.

Sì, proprio la maleducazione spicciola, quella insignificante ma proprio per questo irritante, quella che ci fa parcheggiare storto per far prima, che ci impedisce di accettare la multa conseguente e ci mette in bocca il leinonsachisonoio, che ci fa credere che la prepotenza, l’aggressività, l’antipatia e la cattiveria siano valori positivi.

Che suggerisce agli autori tv programmi insultanti, che fa vendere a iosa romanzetti mediocri facendoli credere casi letterari, che ci fa credere di aver un amico in più perchè lo accettiamo su facebook.

Che ci fa accampare diritti nascondendoci i nostri doveri. E così via.

Se domattina mi svegliassi e fosse sparita la maleducazione, sarebbe già un gran passo avanti.

Dai, è una cosa piccola. Ce la possiamo fare. Buon 2013.

Due spari e un piccolo libro.

“[…] Perciò, se come oggi la guerra proclamata in mio nome sarà una guerra contro i poveri, gli immigrati, gli emarginati, i nomadi, i dissenzienti, mi rifiuterò di usare le armi che gli alti comandi forniscono alla truppa: luoghi comuni, battute razziste, catene di notizie incontrollate, voci calunniose che si diffondono come epidemie e rinfocolano l’odio.”

Questo brano è tratto da un piccolo libro di un autore esordiente, timidamente apparso nelle librerie poche settimane fa. Perchè le cose siano chiare, dirò subito che l’autore esordiente è mio amico da trent’anni, quindi nemmeno mi sforzo di essere obbiettivo sul suo lavoro: mi limito a dire che mi è piaciuto. Questo brano mi ha ronzato in testa tutto il giorno sentendo come molte persone, anche a me molto care, hanno parlato di questa notizia: e cioè, puntualmente, attraverso luoghi comuni e tutto il resto.

Generazione fortunata.

Noi sì che abbiamo tutto.

Abbiamo un’accogliente casa che pagheremo fino a sessant’anni e che ci godiamo solo per dormirci.

Abbiamo un lavoro ricco di soddisfazioni che ci vampirizza le giornate e ci dà da sopravvivere senza permetterci di vivere.

Non abbiamo l’obbligo sociale di sposarci o di convivere con chi amiamo, anzi, visto che tanto non ce lo potremmo nemmeno permettere.

Abbiamo la comodità del pranzo al volo in un’ora per poi tornare a lavorare al volo, mentre ogni programma tv ci spiega come mangiare sano.

Abbiamo la libertà della nostra macchina per stare fermi in coda al semaforo.

Abbiamo i nostri quindici giorni di ferie-al-mare-o-in-montagna, per darci l’illusione durante l’anno di star lavorando per qualcosa.

Abbiamo i nostri genitori che invecchiano felici di doverci aiutare a tirare avanti, e serenamente rassegnati a non vederci mai del tutto sistemati.

Abbiamo una società salutista in cui si muore di cancro.

Abbiamo le trentasei comode rate che ci illudono di pagare le cose un po’ di meno mentre le paghiamo un po’ di più.

Abbiamo il paracetamolo per guarire dal raffreddore più in fretta e non stare a casa con la febbre a cazzeggiare.

Abbiamo l’attesa messianica del venerdì.

Di che ci lamentiamo? Noi sì che siamo una generazione davvero fortunata.

Tutta colpa di Youtube.

A qualcuno è mai capitato come a me? Quando ero piccolo, guardavo i cartoni animati dell’epoca (quelli dei “robottoni”) con grandissimo entusiasmo, conoscevo i personaggi fin nelle più piccole sfumature, non me ne perdevo una puntata. Idem per le prime, rudimentali sit-com.

Negli anni queste cose sono uscite di programmazione, ce le siamo ricordate con nostalgia e rimpianto ai limiti dello struggimento, finchè non è nato Youtube. E allora abbiamo potuto finalmente tornare a vedere quelle serie che ci avevano tanto esaltato e commosso da piccoli. E abbiamo potuto pronunciare l’immortale sentenza:

“MA COME FACEVA A PIACERMI ‘STA ROBA?”

Friendship causes pain.

Mi piacerebbe rinascere in altra forma. Per esempio un hobo ai tempi della Grande Depressione, a vagabondare per gli USA sui carri merci e suonare il blues nei cantieri delle dighe la sera. Oppure essere un monaco zen e vivere in una lamasseria tra le nevi eterne del Nepal. O ancora, un detective senza scrupoli alla Philip Marlowe. O un pescatore delle isole Aran.

Ecco, qualcosa così. Rigorosamente senza legami, semplicemente un uomo.